venerdì 14 novembre 2008

LA MAFIA: LA PAURA DI AFFRONTARE IL PROBLEMA

La mafia è senza dubbio uno dei problemi più preoccupanti che affliggono l'Italia da decenni.
Proprio su questo argomento ho letto un libro interessante di Leonardo Sciascia: "Il giorno della civetta", di cui questa è la trama:


Nella piazza di S., Salvatore Colasberna, un muratore di una piccola impresa edilizia chiamata Santa Fara, viene ucciso mentre sale sul pullman per Palermo.
All'arrivo della polizia, i passeggeri si allontanano alla chetichella, l'autobus resta vuoto e rimangono soltanto l'autista e il bigliettaro, che comunque non riconoscono il morto e non si ricordano chi fossero i passeggeri. Il venditore di panelle, rimasto a terra al momento del delitto è scomparso. Un carabiniere lo trova, come al solito, all'ingresso della scuola elementare mentre vende i suoi prodotti e lo accompagna dal maresciallo. Ma neanche lui sa nulla e, anzi, dice di non essersi accorto nemmeno dello sparo. Dopo due ore di interrogatorio il panellaro ricorda che, all'angolo tra via Cavour e piazza Garibaldi, verso le sei, le sei e trenta, sono partiti due lampi di fuoco. Le indagini vengono affidate al capitano Bellodi, comandante della compagnia di C., emiliano di Parma, ex partigiano, destinato a diventare avvocato, ma rimasto in servizio nell'arma in nome di alti ideali, non condividendo, peraltro, il clima di omertà che caratterizza la Sicilia e i suoi abitanti. Intanto in un bar di Roma, un'importante persona politica chiede ad un onorevole del suo partito (che si intuisce essere la Democrazia Cristiana) di far trasferire Bellodi, a causa dei problemi che sta creando, designando l'omicidio di Colasberna come omicidio mafioso. Bellodi intanto interroga un proprio confidente, doppiogiochista noto alla mafia: Calogero Dibella detto Parrinieddu. Il capitano ascoltando le menzogne che l'informatore riferisce, riesce comunque, con quelle sue gentili maniere da "continentale", a sapere il nome di Santo Pizzuco e di Ciccio La Rosa.
Il nome del presunto omicida, un certo Diego Marchica detto Zicchinetta, viene dato al capitano, o meglio al brigadiere dalla moglie di Paolo Nicolosi, un potatore scomparso e certamente ucciso per aver riconosciuto l'assassino, visto le coincidenze che accompagnano la sua scomparsa. Bellodi scopre nel fascicolo investigativo del Marchica che è un noto sicario, processato e condannato per molti reati, ma scagionato per altrettanti, causa insufficienza di prove. Nota inoltre, una fotografia che lo ritrae insieme con don Calogero Guicciardo e all'onorevole Livigni.
Nel frattempo Parrineddu viene assassinato e Bellodi ottiene, grazie ad un'inquietante testimonianza scritta prima di morire, che Marchica, Pizzuco e il padrino don Mariano Arena, uomo politico di spicco, vengano fermati, ma l'interrogatorio si risolverà in un nulla di fatto.
I giornali fanno molto clamore e pubblicano le foto di Arena insieme a Mancuso; questo dimostra le persone vicine che lo sostengono. Il fatto porta a un dibattito in Parlamento al quale partecipano anche due anonimi mafiosi e alcuni onorevoli. Anche il capitano Bellodi è presente assieme ad un compagno. Durante l'acceso dibattito un sottosegretario dichiara che la mafia esiste solamente "nella fantasia dei socialcomunisti".
Bellodi, che intanto era restato a Parma, dopo aver preso una licenza di un mese, legge sui giornali spediti da un carabiniere dalla Sicilia, che il castello probatorio è stato smantellato grazie ad un alibi di ferro costruito da rispettosissimi personaggi per il Marchica, opera, naturalmente, di uomini politici interessati a tutelare la propria posizione. Quanto sembrava essere stato svelato sulla realtà mafiosa viene cancellato e l'omicidio del Nicolosi, viene attribuito all'amante della moglie. Don Mariano viene scarcerato.
Con i suoi pensieri e con la sua ultima affermazione, Bellodi chiude il romanzo: "si sentiva come un convalescente: sensibilissimo, tenero, affamato. "Al diavolo la Sicilia, al diavolo tutto". Rincasò verso mezzanotte, attraversando tutta la città a piedi. Parma era incantata di neve, silenziosa, deserta. "In Sicilia le nevicate sono rare" pensò: e che forse il carattere delle civiltà era dato dalla neve o dal sole, secondo che neve o sole prevalessero. Si sentiva un po' confuso. Ma prima di arrivare a casa sapeva, lucidamente, di amare la Sicilia e che ci sarebbe tornato. "Mi ci romperò la testa" disse a voce alta."

L'autore mostra chiaramente quanta paura ci sia nell'affrontare questa situazione:
infatti, nonostante la presenza di molti testimoni, le persone interrogate dalla polizia fingono di non avere visto e sentito nulla di quello che è successo, per paura di un'eventuale vendetta da parte della mafia.

Ma è solo la paura ad ostacolare l'Italia per arrivare alla soluzione di questo problema o c'è anche il contributo di un sistema giudiziaro poco efficiente?
Io penso che il sistema giudiziario abbia poca importanza in questo caso, è soprattutto la paura di andare contro la mafia ad impedire che si arrivi alla soluzione di questo problema, ritengo infatti che i mezzi per poter ostacolare la mafia ci siano, purtroppo si ha paura di usarli per paura di essere uccisi, fichè si avrà paura di agire la mafia continuerà a mietere vittime e ad impaurire gli abitanti italiani.

Stefa

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